L'area relativa all'altopiano del Tretto, estesa per circa 1453 ha, si trova nel territorio comunale di Schio e in minima parte di quello di Santorso, anche se fino al 1969 l'area costituiva un comune autonomo con il nome di Tretto. La significatività dell'area è dovuta alla persistenza storica di un paesaggio situato in una zona di altopiano racchiuso da alti rilievi, punteggiato da piccoli raggruppamenti di case attorno alle quali sono condotte da secoli piccole coltivazioni tradizionali, mentre in altre zone sono frequenti formazioni boschive e aree utilizzate come pascoli. I paesaggi forestali sono costituiti, alle quote superiori, da cedui misti di faggio e carpino nero cui talvolta si associano rimboschimenti di abete rosso e larice, mentre alle quote inferiori si incontrano le formazioni tipiche dell'orizzonte submontano con diffusione di carpino nero, orniello, frassino, roverella, betulla e castagno. Il territorio si è conservato sostanzialmente integro nei secoli, e rari sono i fenomeni di compromissione dovuti all'espansione insediativa, e per lo più localizzati alle quote inferiori. La principale fonte di vulnerabilità del paesaggio rurale nel Tretto è costituita dall'invecchiamento dei residenti e dalla riduzione della popolazione che ormai si aggira sulle 1000 unità. Se questo ha contribuito a limitare le nuove costruzioni, ha, dall'altro lato, fatto sì che molte abitazioni nelle contrade risultino oggi in stato di abbandono.
Il Bosco del Cansiglio, esteso per 5750 ha, si trova nel territorio dei comuni di Farra d'Alpago, Tambre, Cordignano, Sarmede, Fregona, Budoia, Caneva e Polcenigo. L'area risulta particolarmente significativa per la persistenza storica della faggeta utilizzata dalla Repubblica di Venezia per la produzione di remi per le galere della sua flotta militare e l'antica presenza antropica in un ecosistema silvo-pastorale particolarmente vario e complesso. Venne scelto nel 1548 dalla Repubblica di Venezia come suo "bosco da remi" per eccellenza, sottraendolo ad altri usi, a parte i pascoli lasciati all'uso privato e comunitario. In seguito si cominciarono a sfruttare anche gli abeti, bianchi e rossi, assai meno numerosi dei faggi, ma presenti sia frammezzo a questi nel bosco misto che nelle peccete circostanti le vaste aree pascolive centrali. Dal punto di vista naturalistico il Cansiglio è ricco di mammiferi e di avifauna, come testimonia la presenza dello splendido gallo cedrone, mentre sembra certa la ricomparsa della lince. L'area continua a mantenere la sua integrità soprattutto per la presenza della faggeta, anche se da circa mezzo secolo il trattamento forestale è improntato ai criteri della selvicoltura naturalistica, la quale prevede una evoluzione verso un bosco misto. Il pascolo, elemento paesaggistico fondamentale dell'area, è mantenuto dalla presenza di alcune aziende zootecniche insediate stabilmente e dall'attività stagionale di alcune malghe. Per quanto riguarda la vulnerabilità le minacce principali per il Bosco del Cansiglio derivano dalla mancanza di unitarietà nella gestione e dall'incertezza sulla destinazione futura, dato che da tempo si confrontano e si scontrano proposte assai differenti.
L'area di antica specializzazione vitivinicola veneta, estesa per circa 1152 ha, è situata nei comuni di Miane, Farra di Soligo, Vidor e Valdobbiadene. L'area risulta essere particolarmente significativa per la persistenza storica di una viticoltura specializzata risalente a un periodo nel quale la viticoltura non aveva ancora una connotazione intensiva diffusaIl paesaggio che si è venuto a creare presenta i versanti a sud, est e ovest intensamente coltivati a vite, mentre quelli esposti a nord sono prevalentemente occupati da boschi. I pendii delle colline hanno reso necessaria la realizzazione di peculiari sistemazioni al fine di rendere possibile la coltivazione. Il territorio ha mantenuto un'elevata integrità del paesaggio storico, almeno per quanto riguarda la coltivazione della vite. Da un lato l'elevatissimo prezzo del Prosecco e del Cartizze ha favorito la continuazione della coltivazione della vite anche in una situazione tecnologicamente complessa per la forte acclività dei colli. Nonostante quanto osservato vi sono alcuni evidenti fattori di degrado: come lo sbancamento di alcuni ciglioni per introdurre vasti appezzamenti di vite a rittochino più facili da coltivare, l'abbandono di alcuni vigneti nelle zone più disagiate, la costruzione di fabbricati residenziali o funzionali all'attività di trasformazione dell'uva che mal si inseriscono nel paesaggio tradizionale, ed infine, la scomparsa quasi totale dei pascoli che occupavano la parte sommitale dei colli.
L'area riguarda una zona agricola posta all'interno dell'azienda dei conti Collalto, con un'estensione totale di 1238 ha, nel comune di Susegana. La significatività dell'area è legata alla persistenza storica del castello di San Salvatore e delle colture agricole intorno a esso che costituiscono la parte più apprezzabile del paesaggio del feudo di Collalto. La storia dell'azienda inizia intorno all'anno Mille quando il capostipite del casato, Rambaldo I, ottenne da Berengario II, re d'Italia, il dominio della corte di Lovadina. Ensedisio I, attorno al 1100, costruì sulla collina di Collalto l'omonimo castello da cui la casata prese il nome. Attorno ai due castelli di Collalto e San Salvatore andò sviluppandosi nei secoli una fiorente attività agricola. L'integrità dell'area, oltre al castello e ai fabbricati rurali, riguarda anche gli assetti agrari. In pianura i terreni sono tutti a seminativo, mentre nell'area collinare vi sono circa 135 ha di vigneto, 164 di prato-pascolo nudo e arborato e 536 di bosco. La vulnerabilità riguarda una certa dispersione di fabbricati moderni che in qualche modo hanno alterato le caratteristiche dell'azienda. L'abbandono dei prati e dei pascoli ha causato l'espansione spontanea del bosco che sta modificando in senso negativo l'assetto paesaggistico storico.
I Palù del Quartier del Piave occupano un'area di circa 867 ha situata nei comuni di Moriago della Battaglia, Sernaglia della Battaglia, Farra di Soligo. La significatività dell'area risiede nella presenza di un paesaggio storico, creato da una bonifica risalente a diversi secoli fa, che ha creato un caratteristico assetto del territorio con prati di estensioni ridotte delimitati da siepi e da un sistema di canalette per lo sgrondo delle acque. L'integrità dell'area si mantiene relativamente buona, anche se il paesaggio storico dei Palù era esteso in un'area molto più ampia di quella attuale. Nel 1890 i campi coltivati a prati delimitati da siepi costituivano circa l'89% dell'intero territorio e il 6% era costituito da seminativi a campi chiusi. Nel 1982 i prati a campi chiusi si erano ridotti al 55% della superficie, a favore del seminativo a campi chiusi (20%) e del seminativo semplice (19%). Fino a pochi anni fa l'area è stata intaccata nella sua integrità sia dalla realizzazione di alcune aree di espansione urbana e industriale, sia dalla dispersione nel territorio di case rurali con tipologie moderne o di allevamenti a carattere industriale. Per molti versi l'abbandono dell'agricoltura tradizionale e la scomparsa della zootecnia tradizionale rappresentano le principali cause di degrado del paesaggio storico, avendo, determinato il formarsi di piccoli boschi che costituiscono un'altra forma di degrado dell'assetto paesaggistico originario.
La tenuta agricola Ca' Tron si estende su una superficie di 1247 ha, ed è situata nell'omonima frazione del comune di Roncade, mentre una limitata porzione sconfina nel comune di Meolo. L'area risulta essere significativa in quanto testimonianza di una tenuta agricola storica in un territorio sottoposto a bonifica, in cui la presenza dell'uomo risale all'epoca romana. Dal 2000 l'area è gestita dalla Fondazione Cassamarca, società con scopi di utilità sociale e di promozione dello sviluppo economico, che ha intrapreso diverse attività volte alla valorizzazione dell'area tra le quali alcune si ricollegano direttamente alla valorizzazione storica e culturale dell'azienda. L'ordinamento colturale è attualmente, il seguente: 500 ha di soia, 100 ha di mais, 100 ha di frumento e medica, 70 ha di vigneto, 25 ha a bosco e 90 ha di seminativo. Il nuovo vigneto di 30 ha è a carattere sperimentale e mette a confronto diversi vitigni per fini di studio. Tra le produzioni agricole meritano di essere citati l'allevamento di ecotipi locali di oche, anatre e polli e la produzione di mais Bianco perla per polenta di qualità. Per quanto riguarda l'integrità il territorio si è conservato sostanzialmente non intaccato dai fenomeni di urbanizzazione diffusa che invece hanno caratterizzato altre aree. Certo nel tempo gli ordinamenti colturali hanno subìto profonde modifiche e la parte integra del paesaggio si riferisce soprattutto alle componenti strutturali dell'azienda. Attualmente il territorio non pare soggetto a particolari minacce, poiché, la sua particolare posizione e la scarsa dotazione di infrastrutture viarie, impedisce il diffondersi di usi urbani. L'unico eventuale pericolo potrebbe essere costituito dallo smembramento della proprietà, che potrebbe favorire la realizzazione di fabbricati rurali sparsi.
L'area dei vigneti ricade nei comuni di Fonzaso e di Arsiè, e si estende per 539 ha. La significatività dell'area è dovuta alla persistenza della viticoltura storica, spesso basata su vitigni tradizionali. La presenza di una produzione vitivinicola importante e un rinomato paesaggio agrario già nel periodo medievale erano legati anche al fatto che Fonzaso rappresentava il crocevia di un importante commercio di legname. Oltre all'opera di sistemazione delle pendici, è da segnalare anche la conservazione di una serie di vitigni autoctoni di particolare interesse, come Bianchetta gentile, Cirnesera, Grassella, Rossarda, Pavana, Grinta, Clinton. Altro elemento di caratterizzazione è l'ampia e varia tecnica d'impianto: si trovano infatti impianti a palo secco, a sostegno vivo con una specifica terminologia dialettale che li identifica (gli altaii), ma anche le pergole e il sistema col galdon. L'integrità del paesaggio storico si è ridotta a partire dal dopoguerra, a causa dell'abbandono di queste aree, anche in seguito alla presenza della fillossera e di altre patologie che hanno in parte suggerito l'abbandono delle pendici. La vulnerabilità dell'area è dovuta al perdurare dell'abbandono delle coltivazioni, fenomeno che non si è esaurito negli ultimi anni, ma che continua a persistere. L'abbandono ha sistematicamente fatto avanzare il bosco. Interessi commerciali poi stanno spingendo verso l'impianto di vitigni "universali" (Merlot, Cabernet, Prosecco) che necessitano di altri impianti rispetto ai rustici autoctoni.