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"Vivere da stranieri nelle aree fragili": i risultati del convegno di Rovigo

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Il ruolo di ricambio e valorizzazione nelle aree a rischio spopolamento. L'importanza dei bambini per l'integrazione. E ancora, la fornitura di servizi alla persona. Ma anche un approccio consapevole delle problematiche legate allo sfruttamento e all'illegalità. Questi e altri gli argomenti emersi dal confronto sul tema dell'immigrazione nelle aree rurali.

Il fenomeno della crescita della popolazione immigrata nel nostro Paese, soprattutto nelle aree marginali, non può più passare inosservato in quanto la presenza di nuovi lavoratori e cittadini, soprattutto nei comuni minori e nelle aree rurali, può rappresentare un elemento di rottura che favorisce il cambiamento socio-economico e diviene un potenziale elemento di mobilitazione delle risorse dell'area.
 
Da queste considerazioni ha preso spunto il convegno organizzato il 19 Marzo scorso dalla Rete Rurale Nazionale in collaborazione con la Provincia di Rovigo, l'Università di Trieste e la Fondazione Culturale Responsabilità Etica, dal quale è emerso come esistano oggi due ipotesi alternative di lettura del fenomeno. La prima, positiva, vede i lavoratori immigrati come risorsa in grado di colmare i vuoti delle aree rurali e di tenere vivi i servizi, soprattutto se l'immigrato non è solo ma ha con sé la propria famiglia ed è inserito con il proprio gruppo etnico. Determinante in questo caso ai fini dell'inclusione sociale l'inserimento dei bambini nelle scuole. La  presenza di popolazione over 65 nelle aree fragili pone infatti seri problemi per garantire l'identità e la riproduzione dei prodotti locali di qualità. E'stato sottolineato che il ruolo degli immigrati negli ultimi anni è diventato di fondamentale importanza per garantire l'offerta dei servizi di assistenza alle persone anziane.
 
Naturalmente esiste anche una lettura "negativa", basata sulla considerazione del gap strutturale-tecnologico e di una minore propensione all'inclusione spesso propria della aree "fragili". Il tutto acuito da un difficile accesso al capitale e al credito, dalla  stagionalità dei flussi e da un continuo "turnover" della popolazione immigrata che crea conflitti anche tra diversi gruppi etnici che si contendono le scarse opportunità di lavoro regolare. Un problema questo, molto forte al Sud, dove si assiste alla riproduzione nel mercato del lavoro degli immigrati di quei fenomeni di "illegalità" e sfruttamento che avevano caratterizzato l'accesso al lavoro dei braccianti agricoli. Il ritorno di questo fenomeno è reso più preoccupante dalla stagionalità del lavoro agricolo, dalla mancanza di risorse abitative adeguate, dalla presenza di flussi migratori difficilmente regolarizzabili sotto il profilo dei permessi di lavoro ed infine  dalla presenza del cosiddetto "caporalato" . Il lavoro stagionale spesso porta ad un legame datore di lavoro e immigrato di tipo "just in time" che porta con sé una scarsa propensione di inclusione sociale e di introduzione di nuove tecnologie.
 
Per le donne immigrate le prospettive di lavoro sono molto basse e nell'attuale crisi economica sono state ulteriormente penalizzate dalla riattribuzione internamente alla famiglia delle attività di assistenza alle persone anziane. Per quanto riguarda le zone alpine, trattate dall'ultima sessione del convegno, è stato nuovamente sottolineato come i bambini rappresentino l'elemento determinante per la stabilità degli immigrati. In queste aree gli immigrati hanno ridotto il fenomeno dello spopolamento, animando il territorio, favorendo in questo modo sia una maggiore dinamicità economica e sia la permanenza di alcuni servizi di base alla persona ed alle famiglie che altrimenti sarebbero stati soppressi.