LA GEOGRAFIA DELLO SVANTAGGIO NELLA REGIONE BASILICATA
La Basilicata non presenta una situazione molto dinamica dal punto di vista economico, con specializzazioni nei settori più arretrati e ancora diversa strada da compiere per modernizzare e potenziare la sua competitività nei settori a maggior contenuto tecnologico. L’incidenza del valore aggiunto del settore artigiano sul totale, risulta pari al 12,7%, sensibilmente superiore sia al dato medio nazionale (8,4%), sia tendenzialmente al dato del Mezzogiorno (10,8%). Il quadro economico della regione vede il valore aggiunto in crescita, anche se segnali non confrontanti giungono dal comparto manifatturiero e dalla costruzioni, mentre il terziario sta lentamente crescendo. Il comparto agricolo è in un momento di crescita, e nel 2008 è tornato ai valori del picco del 1999, a conferma di una ripresa economica dell’agricoltura in atto dal 2006.
Il decennio appena concluso ha, nel complesso, confermato la marginalità dell’economia regionale nel panorama nazionale, seppur con interessanti aperture sul fronte delle materie prime, ma la diffusione di distretti a basso contenuto tecnologico pone qualche interrogativo sul futuro di alcune delle tipologie produttive presenti, soprattutto in relazione all’esplosione della recessione economica di fine 2008.
Nel 2008 la Basilicata si trova sul fondo della graduatoria regionale per PIL pro capite, al sedicesimo posto e con un valore per abitante molto sotto le medie nazionali, anche se lievemente superiore rispetto ai valori della macro regione di riferimento, l’Italia Meridionale. Il PIL globale, nello stesso anno, è pari a 11.198 milioni di euro: nella graduatoria regionale scende ulteriormente e va al penultimo posto, davanti solo al Molise, grazie alla combinazione di PIL pro capite basso e popolazione numericamente poco rilevante.
La crescita in termini reali del PIL nell’ultimo decennio non dà un’immagine più rosea della situazione lucana, con una crescita 1998-2008 del 7,3% del PIL con anno di riferimento il 2000, penultima tra tutte le regioni italiane davanti solo alla Valle d’Aosta, e con una certa distanza anche rispetto al dato della macroregione del Sud (crescita del 10,7%). Questa è un’altra conferma del momento non proprio florido della regione.
In questo contesto l’agricoltura ha seguito sentieri evolutivi differenti rispetto agli altri comparti: si è verificato un picco di crescita del valore aggiunto agricolo proprio nel 2008, al culmine di un buon momento per il settore che è iniziato nel 2004 e non accenna a voler cessare. L’agricoltura lucana si è smarcata anche dal dato nazionale, che il picco lo ha fatto registrare nel 2003-2004.
Il settore nell’ultimo decennio ha subito un’ulteriore contrazione occupazionale, passando da 29.900 occupati del 1998 a 18.700 nel 2008, e questa contrazione va in direzione opposta rispetto a quella del valore aggiunto prodotto, quindi apparentemente ci sono state modifiche sostanziali e efficaci dal punto di vista della produttività del lavoro agricolo. Detta contrazione del lavoro è generalizzata a livello nazionale, non è solo una peculiarità della regione oggetto d’indagine, e l’abbandono delle coltivazioni è una problematica nazionale dovuta alla concorrenza estera, a problemi di ricambio generazionale e altri fattori.
Il peso occupazionale del settore è molto elevato, come spesso capita nelle regioni del Meridione, pari all’8,8% degli occupati nel 2008 contro una media nazionale del 3,9%. Il peso in termini di valore aggiunto dell’agricoltura a livello regionale nel decennio ha perso, anche se poco, passando dal 5,9% al 5,2%, altra espressione di un settore in crescita, anche se inserito in un contesto economico che non riesce a sfruttare l’effetto traino di altri settori.
Analizzando i dati delle produzioni dalla contabilità territoriale sono avvenuti alcuni cambiamenti di una certa importanza nel periodo osservato: rispetto al 1997, tra le produzioni cereali il frumento è cresciuto, mentre orzo e granoturco sono diminuiti (-18% e –41% rispettivamente). Nelle ortive c’è stato un diffuso cambio di destinazione delle superfici, con alcune coltivazioni che negli anni ’90 erano molto diffuse come il cavolfiore (-19%) e la lattuga (-30%) hanno lasciato spazio ad altri ortaggi come pomodori e poponi (sono raddoppiati i pomodori, per i poponi +47%). Tra le produzioni ad elevato valore aggiunto la produzione di uva si è decisamente orientata verso la produzione da tavola (+116%) a scapito di quella da vino (-62%), di conseguenza il vino prodotto è diminuito del 52% (rispetto al 1997), e con valori simili è diminuito anche l’olio prodotto (-46%). La frutta è tutta in crescita, tutti gli agrumi, soprattutto arance e clementine che sono i prodotti più diffusi, manche frutti come mele (+157%), pesche (+187%) e pere (+57%).
L’allevamento nel 1997 si divideva tra suini e bovini, con una leggera prevalenza dei quintali prodotti di maiali; i dati più recenti ci dicono che il gap tra le tipologie si è ampliato, dato che la carne suina prodotta è cresciuta del 18%, mentre quella bovina è diminuita del 9%.
Particolare interesse riveste quindi in un simile contesto economico sia il tema delle aree svantaggiate che quello di una progressiva ridefinizione dei termini con cui questo stesso tema si presenta nello scenario regionale.
In termini quantitativi la presenza di condizioni di svantaggio nel contesto regionale lucano è riscontrabile in una quota rilevante del territorio:
• 96 comuni – se si adotta la definizione più “restrittiva” di aree svantaggiate che abbiamo proposto, localizzati in entrambe le province con una preponderanza di comuni della provincia di Potenza, che occupano più del 64% del territorio ed ospitano il 43% della popolazione regionale;
• 108 comuni – se viceversa si adotta la più “estensiva” delle definizioni proposte – che ampliano la superficie interessata sino all’80% del territorio complessivo regionale ospitando una quota importante della popolazione della regione, pari al 62%.
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