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GLI INDICATORI- scegli un indicatore
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Gli indicatori del sistema agricolo
Gli indicatori del sistema fisico - ambientale
Le diverse tipologie di svantaggio
Marginalità (definizione estensiva e restrittiva)
Confronto tra aree svantaggiate "Atlante" e aree svantaggiate ex direttiva CEE 268/75
Confronto tra aree svantaggiate "Atlante" ed indicatori di performance (reddito diponibile pro-capite al 2006)
Confronto tra aree svantaggiate "Atlante" ed indicatori di performance (variazione demografica 2001 - 2008)
 

 


LA GEOGRAFIA DELLO SVANTAGGIO NELLA REGIONE CAMPANIA

Data la rilevanza della regione in ambito nazionale il contributo dell’economia campana alla formazione del valore aggiunto del Paese è piuttosto significativo, soprattutto per le dimensioni demografiche della regione. Le misure relative danno una idea più precisa della situazione della regione, e la lettura di questi indicatori purtroppo non fornisce un quadro soddisfacente. L’analisi del contributo dell’artigianato alla formazione del valore aggiunto regionale mette ancora una volta in risalto lo scarso peso del settore. Solo il 6,5% del Pil campano infatti proviene da queste imprese, al 19-esimo posto nella graduatoria nazionale. Da segnalare infine l’incidenza del settore commercio: questo assume un valore pari a 23,2%, che, pur non essendo preponderante, tuttavia fa si che la regione si collochi al quinto posto della graduatoria nazionale.
Il comparto agricolo ha avuto il picco di valore aggiunto nel 2004, e da allora sta lentamente tornando ai livelli di inizio secolo.
Il decennio appena concluso ha visto una diminuzione dell’importanza e del peso economico della regione a livello nazionale, e inoltre la diffusione di distretti a basso contenuto tecnologico pone qualche interrogativo sul futuro di queste tipologie produttive, soprattutto in relazione all’esplosione della recessione economica di fine 2008.

Nel 2008 la Campania si trova all’ultimo posto della graduatoria regionale per PIL pro capite, con un valore per abitante inferiore di quasi 10 mila euro alle medie nazionali, ma vicino rispetto ai valori della macro regione di riferimento, l’Italia Meridionale. Il PIL globale, nello stesso anno, è pari a 98.031 milioni di euro: nella graduatoria regionale sale fino al settimo posto, dato che sorpassa regioni con Pil pro capite superiore ma minore popolazione (per esempio Umbria e Abruzzo).
La crescita in termini reali del PIL nell’ultimo decennio conferma la situazione poco rosea della regione, con una crescita 1998-2008 del 9,1% del PIL con anno di riferimento il 2000, un dato tra i più bassi a livello nazionale, meglio solo di Basilicata e Sardegna.
In questo contesto l’agricoltura ha seguito sentieri evolutivi differenti rispetto agli altri comparti:il valore aggiunto si è mantenuto stabile sui suoi livelli fino al 2004 (con la sola eccezione del 2003) per poi iniziare una graduale discesa.
L’agricoltura campana con queste dinamiche ha seguito a grandi linee l’evoluzione del settore a livello nazionale, dato che il picco in Italia è stato riscontrato nel 2003-2004.
A livello nazionale l’agricoltura ha tenuto le posizioni nell’arco del decennio, e lo stesso non si può affermare per la Campania, che nel suo andamento è stata molto più fedele al dato nazionale piuttosto che a quello della macroregione di riferimento.
Il settore nell’ultimo decennio ha subito una vera e propria contrazione occupazionale, passando da 135.300 occupati del 1998 a 85.500 nel 2008, e questa contrazione sembra essere andata oltre la contrazione del valore aggiunto prodotto, quindi apparentemente la produttività del lavoro agricolo potrebbe essere un po’ incrementata. La contrazione del lavoro agricolo è generalizzata a livello nazionale, non è solo una peculiarità della regione oggetto d’indagine, e l’abbandono delle coltivazioni è una problematica nazionale dovuta alla concorrenza estera, a problemi di ricambio generazionale e altri fattori. La stesse considerazioni valgono per il peso occupazionale del settore, pari al 4,8% degli occupati nel 2008 (era l’8% nel 1998) contro una media nazionale del 3,9%. Il peso in termini di valore aggiunto dell’agricoltura a livello regionale nel decennio ha subito solo una lieve riduzione, passando dal 3,2% al 2,6%, anche se è giusto puntualizzare che tale dinamica è il risultato di due forze, per cui le difficoltà del settore agricolo si sommano ad contesto economico contraddistinto da una grande crescita. Analizzando i dati delle produzioni dalla contabilità territoriale sono avvenuti alcuni cambiamenti di una certa importanza nel periodo osservato: tutte le produzioni cereali sono diminuite rispetto al 1997, soprattutto il frumento tenero (-55%). Nelle ortive c’è stato un riorientamento delle superfici, alcune coltivazioni che negli anni ’90 erano molto diffuse come carciofi (-39%), cavolfiore (-20%), la barbabietola da zucchero (-81%) e i cavoli (-34%) hanno lasciato spazio ad altri ortaggi come lattuga (+48%), pomodori (+25%) e peperoni (+28%). Tra le produzioni ad elevato valore aggiunto la produzione di uva da vino è diminuita del 27%, il vino del 16% (rispetto al 1997), ma soprattutto tutti gli agrumi hanno avuto segno negativo nel decennio, con variazioni tra il –33% ed il –47%
L’allevamento nel 1997 si reggeva su tre capisaldi: bovini, suini, e pollame; i dati più recenti ci dicono che le produzioni avicole hanno mantenuto intatti i volumi prodotti, i suini sono cresciuti del 18% e c’è stata una lieve contrazione del comparto bovino nell’ordine del 6%; il comparto bovino per quintali di carne prodotta rimane il principale dell’allevamento campano.
Particolare interesse riveste quindi in un simile contesto economico sia il tema delle aree svantaggiate che quello di una progressiva ridefinizione dei termini con cui questo stesso tema si presenta nello scenario regionale.
In termini quantitativi la presenza di condizioni di svantaggio nel contesto regionale campano è riscontrabile in una quota rilevante del territorio:
• 55 comuni – se si adotta la definizione più “restrittiva” di aree svantaggiate che abbiamo proposto, localizzati per la maggior parte nel territorio delle province di Avellino e Salerno, che occupano il 17% del territorio ed ospitano appena l’1,5% della popolazione regionale;
• 124 comuni – se viceversa si adotta la più “estensiva” delle definizioni proposte – che ampliano la superficie interessata sino al 33% del territorio complessivo regionale ospitando una quota limitata della popolazione campana (4%).


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