LA GEOGRAFIA DELLO SVANTAGGIO NELLA REGIONE EMILIA ROMAGNA
L’Emilia Romagna rappresenta una delle regioni più dinamiche ed innovative sotto il profilo economico, essendo sede di un buon numero distretti produttivi ad alta concentrazione di imprese in tanti settori differenti che ne fanno uno dei luoghi di massima attività economica del Nord Italia e del paese in generale. Il contributo dell’economia emiliana alla formazione del valore aggiunto nazionale è stato, nel 2008, pari al 8,8%. Il valore aggiunto pro capite colloca la regione al quarto posto nella specifica graduatoria a livello nazionale, preceduta solo da Lombardia, Valle d’ Aosta e Trentino Alto Adige.
Il comparto agricolo ha visto ridursi il suo peso specifico nel nuovo millennio, con una diminuzione del valore aggiunto dal 2001, anche se in tempi più recenti sembrano esserci lievi segnali di ripresa, con una crescita dal 2006.
Il decennio appena concluso ha, nel complesso, accresciuto l’importanza ed il peso economico della regione a livello nazionale, ma la diffusione di distretti a basso contenuto tecnologico (vedi meccanica, ceramico) pone qualche interrogativo sul futuro di queste tipologie produttive, soprattutto in relazione all’esplosione della recessione economica di fine 2008.
Nel 2008 l’Emilia Romagna si trova ai primi posti della graduatoria regionale per PIL pro capite, con un valore per abitante molto superiore alle medie nazionali, e superiore di un migliaio di euro anche rispetto alla macro regione di riferimento, l’Italia Nord-Orientale. Il PIL globale, nello stesso anno, è pari a 139.529 milioni di euro: nella graduatoria regionale al quarto posto, dietro solamente a Lombardia, Lazio e Veneto.
La crescita in termini reali del PIL nell’ultimo decennio vede l’Emilia ben posizionata con una crescita 1998-2008 del 15,5% del PIL con anno di riferimento il 2000 (un paio di punti sopra la crescita nazionale), anche se nel 2007-2008 tale grandezza è diminuita, causa la recessione generalizzata. Questa è un’altra conferma della vivacità della regione.
In questo contesto l’agricoltura ha seguito sentieri evolutivi differenti rispetto agli altri comparti: si è verificato un picco di crescita del valore aggiunto agricolo nel 2000 e 2001, per poi iniziare una graduale discesa che si è arrestata nel 2004, per poi riprendere fino al 2007. L’agricoltura emiliana , con le eccezioni dei picchi del 2000 e del 2001 ha seguito la dinamica agricola nazionale in modo piuttosto fedele.
a livello nazionale l’agricoltura ha tenuto le posizioni nell’arco del decennio, e lo stesso può essere sostenuto anche per l’Emilia Romagna.
Il settore nell’ultimo decennio ha subito una vera e propria ecatombe di posti di lavoro, passando da 96.000 occupati del 1998 a 76.700 nel 2008, e questa contrazione sembra essere andata di pari passo con la contrazione del valore aggiunto prodotto, quindi apparentemente non ci sono state modifiche sostanziali dal punto di vista della produttività del lavoro agricolo. Il problema della perdita di posti di lavoro è generalizzato a livello nazionale, non è solo una peculiarità della regione oggetto d’indagine, e l’abbandono delle coltivazioni è una problematica nazionale dovuta alla concorrenza estera, a problemi di ricambio generazionale e altri fattori.
La stesse considerazioni valgono per il peso occupazionale del settore, pari al 3,5% degli occupati nel 2008 contro una media nazionale del 3,9%. Il peso in termini di valore aggiunto dell’agricoltura a livello regionale nel decennio ha subito una diminuzione importante, dimezzandosi e passando dal 3,6% al 2,3%, anche se è giusto puntualizzare che tale dinamica è il risultato di due forze, per cui le difficoltà del settore agricolo si sommano ad contesto economico contraddistinto da una grande crescita.
Analizzando i dati delle produzioni dalla contabilità territoriale sono avvenuti alcuni cambiamenti di una certa importanza nel periodo osservato: tutte le produzioni cereali sono diminuite rispetto al 1997, con la sola esclusione del frumento duro che ha visto i volumi produttivi triplicarsi, e il granoturco (+38%). Nelle ortive c’è stato un riorientamento delle superfici, alcune coltivazioni che negli anni ’90 erano molto diffuse come la barbabietola da zucchero e la soia hanno lasciato spazio ad altri ortaggi che sono cresciuti molto come carote (+300%), pomodori (+30%) e zucchine (+92%), lattuga e radicchio. Tra le produzioni ad elevato valore aggiunto la produzione di uva da vino è cresciuta del 6%, il vino del 196% (rispetto al 1997), sono cresciute pesche (+36%) e pere (+69%).
L’allevamento nel 1997 si reggeva su tre capisaldi: bovini, suini, e pollame; i dati più recenti ci dicono che le produzioni avicole e suine sono leggermente cresciute ( +5% i polli, +8% i maiali) mentre c’è stata una lieve riduzione del comparto bovino nell’ordine dell’8%.
Particolare interesse riveste quindi in un simile contesto economico sia il tema delle aree svantaggiate che quello di una progressiva ridefinizione dei termini con cui questo stesso tema si presenta nello scenario regionale.
In termini quantitativi la presenza di condizioni di svantaggio nel contesto regionale emiliano è riscontrabile in una quota rilevante del territorio:
• 16 comuni – se si adotta la definizione più “restrittiva” di aree svantaggiate che abbiamo proposto, localizzati per la maggior parte nell’Appennino piacentino e parmense, che occupano più del 6% del territorio ed ospitano appena il 1% della popolazione regionale;
• 68 comuni - se viceversa si adotta la più “estensiva” delle definizioni proposte - che ampliano la superficie interessata sino al 26% del territorio complessivo regionale ospitando una quota abbastanza limitata della popolazione emiliana (4%).
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