Parere 17 gennaio 2018 (n. aff. 00764/2014) reso nell'adunanza del 17 gennaio 2018 - Termine per impugnare. Proposizione istanza di accesso: non sospende il termine per la proposizione dell'azione impugnatoria.
Periodo di programmazione:
2007-2013
Misura del PSR coperta:
PSR 2007/2013 Regione Lazio - Misura 121
Parole chiave:
accesso agli atti
Il deposito dell'istanza di accesso agli atti durante il periodo previsto per l'impugnazione non interrompe il termine di decadenza per la proposizione dell'azione.
Il FATTO La ricorrente ha presentato domanda per accedere ai benefici previsti dal P.S.R. Lazio 2007-2013; il relativo progetto è stato dichiarato ammissibile ma non finanziabile per carenza di fondi, nelle varie sottofasi temporali, secondo il meccanismo dello stop and go. La graduatoria definitiva viene pubblicata sul B.U.R.L. del 14.6.2012. Il ricorso viene depositato il 26.11.2012. Il Consiglio di Stato ha dichiarato il ricorso irricevibile in quanto tardivo, a nulla rilevando la presentazione dell'istanza di accesso agli atti, durante il periodo previsto per l'impugnazione.
NOTA Il termine per la proposizione del ricorso straordinario al Presidente della Repubblica, ai sensi dell'art. 9 del D.P.R. n. 1199/1971, è di 120 giorni decorrenti dalla data della notificazione o della comunicazione dell'atto impugnato o da quando l'interessato ne abbia avuto piena conoscenza. La Sezione ribadisce, nel solco dell'ormai consolidato indirizzo giurisprudenziale, che nel caso di proposizione dell'istanza di accesso agli atti prima dello spirare del termine decadenziale per la proposizione dell'azione impugnatoria, il termine stesso decorre dalla consapevolezza dell'esistenza del provvedimento e della sua potenzialità lesiva, mentre l'esistenza di ulteriori vizi o la compiuta conoscenza dei vizi inizialmente riscontrati, acquisita attraverso la conoscenza "integrale" del provvedimento medesimo o di ulteriore atti del procedimento, consente di proporre motivi aggiunti nell'ambito dell'impugnazione già proposta. Il tradizionale indirizzo giurisprudenziale al quale il parere in commento aderisce, poggia sul principio della certezza dell'azione amministrativa che trova prevalenza rispetto al diritto di accesso agli atti in quanto la piena conoscenza dell'atto da censurare si concretizza con la cognizione dei suoi elementi essenziali e, segnatamente, della sua parte dispositiva e della sua valenza lesiva. Tali elementi sono difatti sufficienti a rendere il soggetto legittimato all'impugnativa consapevole dell'incidenza dell'atto nella propria sfera giuridica, avendo egli la concreta possibilità di rendersi conto della lesività del provvedimento senza che sia necessaria la compiuta conoscenza della motivazione e degli atti del procedimento, né possa rilevare la data della "scoperta" di un possibile vizio di legittimità (cfr. ad es. C.d.S., V, 22 settembre 2009, n. 5639; VI, 19 marzo 2009, n. 1690; V, 26 gennaio 2009, n. 367; IV, 29 luglio 2008, n. 3750; 26 gennaio 2010 n. 292). Il cittadino, invero, ha anche la possibilità di svolgere motivi aggiunti di ricorso ove consegua in un secondo momento la conoscenza dell'esistenza di ulteriori profili di illegittimità dell'azione amministrativa (cfr., tra le tante, C.d.S., IV, 23 gennaio 2012, n. 281; V, 7 maggio 2012, n. 2609, e 22 maggio 2012, n. 2960; III, 23 maggio 2012 n. 2993; nel senso che il concetto di "piena conoscenza" dell'atto lesivo non deve essere inteso quale "conoscenza piena ed integrale" dei provvedimenti che si intendono impugnare v. anche IV, 22 maggio 2012, n. 2974; V, 26 luglio 2012 n. 4255). Una cosa, quindi, è la piena conoscenza del provvedimento della cui impugnativa si tratta, altra è la cognizione documentale completa degli atti formanti la relativa pratica amministrativa. La giurisprudenza anche di recente ha ricordato, del resto, che, se è vero che ai fini della decorrenza del termine d'impugnazione occorre la conoscenza piena del provvedimento causativo della lesione, è anche vero che la tutela dell'amministrato non può ritenersi operante oltre ogni limite temporale ed in base ad elementi puramente esteriori, formali o estemporanei, quali atti di iniziativa di parte (richieste di accesso, istanze, segnalazioni, ecc.), di modo che l'attività dell'Amministrazione e le iniziative dei controinteressati siano soggette indefinitamente o per tempi dilatati alla possibilità di impugnazione, anche quando l'interessato non si renda parte diligente nel far valere la propria pretesa entro i limiti temporali assicuratigli dalla legge. L'integrazione della conoscenza dell'atto nella sua completezza può, come si è detto, offrire la possibilità di avanzare nuove censure attraverso motivi aggiunti: ma non determina il venir meno dell'onere di impugnazione tempestiva a partire dalla piena conoscenza del provvedimento e della sua lesività (C.d.S., sez. V, 5 novembre 2012, n. 5588; 25 luglio 2011, n. 4454; 5 marzo 2010 n. 1298). Il concetto di piena conoscenza dell'atto lesivo non deve però essere inteso quale "conoscenza piena ed integrale" dei provvedimenti che si intendono impugnare. Ciò che è invece sufficiente ad integrare il concetto di "piena conoscenza" - il verificarsi della quale determina il dies a quo per il computo del termine decadenziale per la proposizione del ricorso giurisdizionale - "è la percezione dell'esistenza di un provvedimento amministrativo e degli aspetti che ne rendono evidente la lesività della sfera giuridica del potenziale ricorrente, in modo da rendere percepibile l'attualità dell'interesse ad agire contro di esso" (in tal senso C.d.S., Sez. IV, n. 2974/2012). Ed infatti, mentre la consapevolezza dell'esistenza del provvedimento e della sua lesività, integra la sussistenza di una condizione dell'azione, rimuovendo in tal modo ogni ostacolo all'impugnazione dell'atto (così determinando quella "piena conoscenza" indicata dalla norma), invece la conoscenza "integrale" del provvedimento (o di altri atti del procedimento) influisce sul contenuto del ricorso e sulla concreta definizione delle ragioni di impugnazione, e quindi sulla causa petendi. La previsione dell'istituto dei motivi aggiunti (nella formulazione dei medesimi anteriore al nuovo e distinto ricorso per motivi aggiunti, poi introdotto dalla L. n. 205/2000) comprova la fondatezza dell'interpretazione resa della "piena conoscenza" dell'atto oggetto di impugnazione. La soluzione prescelta dal legislatore rende compatibili da un lato, il diritto alla effettività ed immediatezza della tutela giurisdizionale, consentendo un immediato "contatto" tra il soggetto che si ritiene leso dall'atto di esercizio del potere amministrativo ed il giudice, per il tramite di una tempestiva proposizione del ricorso e dell'eventuale domanda cautelare; dall'altro, l'interesse pubblico alla certezza e stabilizzazione delle situazioni giuridiche come conformate dall'esercizio del potere amministrativo, in funzione della cura dell'interesse pubblico. Per queste ragioni, i commentatori ritengono che la soluzione prescelta dall'ordinamento risulta pienamente coerente con le esigenze espresse dalla Convenzione Europea dei diritti dell'uomo, ed in particolare dal suo art. 6, in base al quale "ogni persona ha diritto ad un'equa e pubblica udienza entro un termine ragionevole", e dal suo art. 13, in base al quale "ogni persona i cui diritti e le cui libertà riconosciuti nella presente Convenzione siano stati violati ha diritto ad un ricorso effettivo innanzi ad una istanza nazionale, anche quando la violazione sia stata commessa da persone agenti nell'esercizio delle loro funzioni ufficiali". Quanto sin qui esposto costituisce un dato acquisito della giurisprudenza del Consiglio di Stato (ex plurimis, C.d.S., sez. III, 19 settembre 2011 n. 5268; sez. VI, 31 marzo 2011 n. 2006; sez. VI, 28 aprile 2010 n. 2439; sez. IV, 19 luglio 2007 n. 4072 e 29 luglio 2008 n. 3750).