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Agricoltura e carceri

Cavolfiore

Reinserimento attraverso il lavoro

Nel dibattito sul ruolo delle attività da svolgere nel periodo detentivo a fini educativi e di reinserimento sociale il lavoro è considerato uno degli elementi più importanti per la sua capacità di "occupare" un tempo non definito in modo costruttivo e finalizzato al successivo periodo di reinserimento. Tra le varie esperienze di lavoro, quella nel settore agricolo ha rivestito da sempre un ruolo particolare: l'attività agricola, infatti, si svolge all'aperto, offre l'opportunità di lavorare a contatto con l'ambiente e di seguire i cicli biologici, permette di "riappropriarsi" della funzione di cura e di supporto alla crescita. Tale attività, inoltre, si presta alla tesi della "vita in comune" come strumento in grado di ristabilire l'ordine giuridico violato e introdurre valori positivi negli stili di vita dei detenuti. In Italia, il lavoro agricolo nell'attività penitenziaria (si veda a questo proposito la breve ricostruzione che ne fa Alfonso Pascale nel Quaderno informativo "L'Agricoltura Sociale nei Programmi di Sviluppo Rurale e nelle altre politiche pubbliche") viene introdotto in età giolittiana con alcune sperimentazioni nell'agro pontino e sull'isola di Pianosa, nell'arcipelago toscano; successivamente i detenuti vengono impegnati nei lavori di bonifica dei terreni agricoli e vengono in parte smistati nelle colonie agricole, risolvendo così il problema del sovraffollamento delle carceri. In questa fase, non esiste alcun collegamento tra il lavoro effettuato in stato di detenzione e il successivo reinserimento sociale. In seguito, in alcuni istituti penitenziari continua, anche se in maniera ridotta, l'attività agricola. È solo negli anni 70 che, a seguito di rivolte e proteste dei detenuti, si porta all'attenzione dell'opinione pubblica e della classe politica il problema dell'attività lavorativa nel periodo di detenzione e che il lavoro assume una valenza educativa, professionalizzante e di reinserimento sociale e lavorativo. Oggi, accanto ad attività di diverso tipo svolte generalmente all'interno delle mura (call center, artigianato, sartoria, informatica, ecc.), il lavoro agricolo riveste un ruolo importante per i detenuti sia nella fase di reclusione sia in quella di reinserimento. Le esperienze si sono sviluppate in parte in modo autonomo, per sensibilità delle direzioni che hanno proposto questo particolare tipo di attività e per la disponibilità di terreni all'interno della struttura penitenziaria, in parte sotto la spinta di provvedimenti legislativi (in particolare la legge 22 giugno 2000, n° 193, detta legge Smuraglia). In alcuni casi si tratta di attività agricole tutte interne alle strutture, gestite con il supporto di professionisti dipendenti dell'amministrazione penitenziaria; in altri casi la presenza di cooperative sociali o professionisti esterni favorisce il collegamento con l'esterno di una struttura per vocazione chiusa. La lettura che è possibile fare di queste esperienze non è esclusivamente di tipo economico; è infatti possibile, con una visione più ampia della capacità dell'agricoltura (sociale, biologica, ecc.) e della ruralità di costruire nuova cultura, leggere tra le righe di tali realtà anche segni di un tentativo di rifondare l'agricoltura secondo logiche diverse da quelle del mero profitto e di stabilire un legame nuovo tra produzione agricola, uso della terra e legalità.